Giuseppe Trentacoste
Giuseppe Trentacoste
Giuseppe Trentacoste (Firenze, 1977) sviluppa una personale ricerca sulla materia e sulla memoria degli oggetti, concentrandosi da oltre vent’anni su una tecnica che definisce “tela piegata”. La sua opera nasce dal gesto semplice ma profondamente simbolico del piegare sacchi di juta, in precedenza utilizzati per contenere caffè, tabacco o cacao. Materiali di scarto, impregnati di storia e di viaggi, diventano così protagonisti di un linguaggio che unisce arte povera, rilievo scultoreo e pittura.
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«La mia tecnica – spiega l’artista – è basata sull’utilizzo di sacchi di juta che, in precedenza, contenevano caffè, tabacco o cacao. Piegando questi sacchi, che recupero presso torrefazioni locali o grazie ad amici che tornano da viaggi all’estero, creo bassorilievi. Attraverso la manualità e le diverse piegature, che non seguono una precisa logica, faccio in modo che i timbri di provenienza rimangano in vista, cosicché il fruitore della mia opera possa conoscere il vissuto e il percorso del sacco. Infatti, esso stesso è, per me, veicolo e opera d’arte, strumento e risultato: il sacco ha una sua memoria e una sua storia, così come tutti gli oggetti».
Il processo è complesso e in continua evoluzione dal 2005. I sacchi vengono piegati più volte, intelaiati, trattati con resine, colle e colori acrilici per raggiungere una compattezza e una rigidità pari a quella della plastica, pur restando internamente vuoti e leggeri. La juta, materiale povero e ruvido, rinasce in nuove forme: da semplice contenitore diventa superficie viva, trama pulsante di una narrazione visiva che conserva i segni del proprio passato.
L’uso del sacco di juta e dell’imbottitura conferisce all’opera una tridimensionalità grezza, fatta di materiali umili che contrastano con la forza visiva e concettuale del soggetto. In molti lavori di Trentacoste, la materia diventa teatro di un immaginario ironico e surreale: figure, simboli e personaggi del mondo pop e infantile emergono dal rilievo come apparizioni giocose, capaci di trasformare l’oggetto in un racconto corale.
Attraverso la “tela piegata”, Trentacoste trasforma la memoria del materiale in linguaggio poetico. Ogni piega è un respiro, ogni trama un percorso. Nella sua ricerca si intrecciano sostenibilità, recupero e libertà espressiva: il sacco conserva la sua voce originaria ma parla un linguaggio nuovo, quello dell’arte che sa vedere oltre la superficie delle cose.














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