Donatella Lami

Donatella Lami si distingue come acquarellista di grande talento, con una mano classica e un disegno impeccabile che riflette precisione, sensibilità e profondità emotiva. La sua pittura, talvolta estesa anche alla tecnica acrilica, dà vita a paesaggi dai toni sognanti e irreali, capaci di trasportare chi li osserva in atmosfere leggere e sospese, dove la realtà si mescola al mistero.

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Amante dei cavalli, Lami li ritrae con naturalezza e dinamismo, catturandone la grazia nei movimenti e trasformando ogni scena in un momento di poesia. La sua capacità di fondere il mondo terraneo con elementi di incanto conferisce alle opere una dimensione unica: ogni animale, ogni paesaggio, diventa simbolo di libertà e leggerezza.

I colori, luminosi e sorprendenti, dialogano con la forma e il movimento, creando composizioni in cui il sogno incontra la tecnica e la sensibilità classica si sposa con l’inventiva contemporanea. Lami invita lo spettatore a soffermarsi, a percepire il respiro della natura e a lasciarsi trasportare dall’armonia dei dettagli e dalla magia dei toni.

In sintesi, Donatella Lami offre un universo pittorico dove movimento, luce e sogno si incontrano, rendendo ogni opera non solo una raffigurazione, ma una vera esperienza emotiva. La sua arte riesce a coniugare tecnica impeccabile, eleganza narrativa e una visione poetica che rimane impressa nella memoria di chi osserva.

Stefano Urzi

Al centro dell’arte di Stefano Urzi è il mare.

Sulla riva, con la brezza salina che gli accarezza il viso, guarda il suo amato mare, la sua natura mutevole e imprevedibile, immenso spettacolo che si estende all’infinito e che non pone limiti ai sogni e alla libertà. C’è qualcosa di costante ed eterno nel mare: la sua capacità di incantare la vista e di ammaliare i sensi.

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E sulle tele è il mare stesso che ci parla, per mezzo del suo grande interprete. Come in un’istantanea, ecco lo sfavillio dei bagliori tra le onde, la morbida spuma bianca, la luce nitida sulle acque calme, il blu dei cieli, il rumore frusciante della risacca, o sordo e cupo del vento, le onde appena increspate, gli spruzzi, l’odore di salmastro, la brezza leggera che carezza la faccia, la raffica violenta che la sferza, lasciandola umida di sale, il riverbero che acceca di luce, gli scogli appuntiti sotto i nostri passi…

Le sue tele sembrano vivere, capaci di trasportare chi le osserva in un luogo lontano, in una storia senza tempo, in cui possiamo viaggiare per ore e perderci nelle sue profondità. È un viaggio fisico e spirituale che ci porta a ritrovare noi stessi e le nostre emozioni, in una meraviglia continua che rappresenta una fonte inesauribile di ispirazione e riflessione. Possiamo sentire la potenza della natura, la sua forza e la sua bellezza, e ascoltare la voce del vento, il silenzio.

Vera Lowen

Vera Lowen è un’artista con oltre quarant’anni di esperienza, il cui lavoro si muove tra pittura su tessuto e acquarello. Nata come acquarellista e architetto di formazione, ha sviluppato negli anni una cifra stilistica personale, in cui tecnica e sensibilità si intrecciano per dare vita a opere dal forte impatto emotivo.

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I suoi lavori esplorano la condizione umana, trasformando fragilità ed emozioni in immagini sospese tra memoria, speranza e rinascita. Negli ultimi anni la sua ricerca si è sempre più orientata verso tematiche sociali, dove la pittura diventa uno strumento per osservare la realtà e stimolare riflessioni profonde sulla vita e sulla società.

Le opere di Vera Lowen sono realizzate su tessuti pregiati, come sete leggere e delicate, su cui ogni tratto è il frutto di un lungo percorso di studio e sperimentazione. Il processo creativo parte dall’ideazione su carta, passa attraverso schizzi ad acquarello e infine si trasferisce sul tessuto, dando vita a composizioni leggiadre e preziose, dove colore, luce e materia dialogano con lo spettatore.

Fiori, elementi naturali e oggetti quotidiani diventano simboli di resilienza, bellezza e rinascita. In questa prospettiva, la pittura di Vera Lowen non è solo estetica, ma anche un veicolo di riflessione e partecipazione: ogni opera invita chi osserva a confrontarsi con sé stesso, a ritrovare armonia e speranza in un mondo sempre più complesso.

Giuseppe Trentacoste

Giuseppe Trentacoste

Giuseppe Trentacoste (Firenze, 1977) sviluppa una personale ricerca sulla materia e sulla memoria degli oggetti, concentrandosi da oltre vent’anni su una tecnica che definisce “tela piegata”. La sua opera nasce dal gesto semplice ma profondamente simbolico del piegare sacchi di juta, in precedenza utilizzati per contenere caffè, tabacco o cacao. Materiali di scarto, impregnati di storia e di viaggi, diventano così protagonisti di un linguaggio che unisce arte povera, rilievo scultoreo e pittura.

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«La mia tecnica – spiega l’artista – è basata sull’utilizzo di sacchi di juta che, in precedenza, contenevano caffè, tabacco o cacao. Piegando questi sacchi, che recupero presso torrefazioni locali o grazie ad amici che tornano da viaggi all’estero, creo bassorilievi. Attraverso la manualità e le diverse piegature, che non seguono una precisa logica, faccio in modo che i timbri di provenienza rimangano in vista, cosicché il fruitore della mia opera possa conoscere il vissuto e il percorso del sacco. Infatti, esso stesso è, per me, veicolo e opera d’arte, strumento e risultato: il sacco ha una sua memoria e una sua storia, così come tutti gli oggetti».

Il processo è complesso e in continua evoluzione dal 2005. I sacchi vengono piegati più volte, intelaiati, trattati con resine, colle e colori acrilici per raggiungere una compattezza e una rigidità pari a quella della plastica, pur restando internamente vuoti e leggeri. La juta, materiale povero e ruvido, rinasce in nuove forme: da semplice contenitore diventa superficie viva, trama pulsante di una narrazione visiva che conserva i segni del proprio passato.

L’uso del sacco di juta e dell’imbottitura conferisce all’opera una tridimensionalità grezza, fatta di materiali umili che contrastano con la forza visiva e concettuale del soggetto. In molti lavori di Trentacoste, la materia diventa teatro di un immaginario ironico e surreale: figure, simboli e personaggi del mondo pop e infantile emergono dal rilievo come apparizioni giocose, capaci di trasformare l’oggetto in un racconto corale.

Attraverso la “tela piegata”, Trentacoste trasforma la memoria del materiale in linguaggio poetico. Ogni piega è un respiro, ogni trama un percorso. Nella sua ricerca si intrecciano sostenibilità, recupero e libertà espressiva: il sacco conserva la sua voce originaria ma parla un linguaggio nuovo, quello dell’arte che sa vedere oltre la superficie delle cose.

Morgan Zangrossi

Nato a Rovigo il 7 gennaio 1974, vive e lavora a Gavello, in provincia di Rovigo.
Morgan Zangrossi è un artista materico che usa oggetti informatici e multimediali ormai in disuso per rappresentare la sua poetica.
Pezzi di computer rotti o obsoleti vengono nobilitati dall’artista che, inserendoli nelle sue composizioni e ricoprendoli di ruggine, li eleva e li permea della sacralità che solo l’invecchiamento dà.

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In galleria trovate opere che appartengono a tre cicli distinti, legati da un comune filo conduttore che è l’utilizzo di componenti hardware diversamente trattati con la ruggine, ossidi, metalli e resine.

La ruggine compare nei lavori di più antica data.

Negli assemblaggi che appartengono al ciclo “Archeologia Moderna” Morgan Zangrossi adopera ruggine vera, ottenuta facendo reagire il ferro liquido con agenti ossidanti. La ruggine è parte della memoria, è il primo impatto nel ritrovare un oggetto vissuto, nell’evocare il contatto con chi lo ha usato, toccato, gettato. Una alterazione che avvolge e ricompone il manufatto riportandolo ad una dimensione di naturale evoluzione.
Gli oggetti multimediali, i nostri componenti indistruttibili, plastici, inalterabili, come appariranno a chi dovesse ritrovarli in un tempo futuro?

Senza rughe, senza segni. Inalterati e anonimi non hanno memoria del passato, non evocano, non ci parlano di coloro che li hanno usati, delle vite che hanno condiviso e che sono state spese accanto e con loro, di quanto hanno visto. La ruggine li ricolloca nel tempo, dona loro i segni delle storie vissute e li ricopre di memoria.

“La ruggine è viva. La Natura crea le sfumature, io mi limito ad assecondarla ed essere testimone del suo divenire. Nelle mie opere è forte il contrasto tra inanimato e vivo, tra limpido e gretto, tra bello e brutto… eppure, paradossalmente, è proprio la parte “peggiore” ad essere interessante, attraente… proprio perchè unica cosa viva.

Viaggiare all’indietro nei secoli!

Ecco la sensazione che avvertiamo visitando un museo archeologico, dove in mostra ci sono gli oggetti di uso quotidiano che usavano gli uomini vissuti secoli prima di noi… un vero e proprio salto all’indietro…
Ci aggiriamo per le sale immaginando i nostri progenitori alle prese con quegli arnesi e siamo capaci di indovinarne l’uso perché tanto familiari anche a noi, ciotole, armi, utensili, arredi e giochi perfino.

E noi? Cosa ricorderanno di noi quelli che verranno dopo? Cosa rappresenta davvero il tempo che stiamo vivendo?
La nostra è la civiltà delle immagini ma soprattutto delle informazioni, che grazie agli strumenti detti “multimediali”, sono alla portata di tutti, si trovano ovunque anche se forse in eccesso rispetto a quelle che ci servono realmente.
Ho voluto però celebrare questi oggetti, che per molti di noi sono come delle ali, che ci portano verso mondi, fino a poco tempo fa inaccessibili, presentandoli come reperti di un mondo passato, proiettando la mia visione avanti nei secoli, con la fantastica macchina del tempo che è l’immaginazione. Rimane anche la sottile ironia dell’immedesimarsi nell’uomo del futuro che conserva le vestigia del suo passato, che è il nostro presente.
Rimane forte la contrapposizione tra bello e brutto, nuovo e vecchio, lucido e ruvido quindi tra virtuoso e immorale, difatti credo di aver bene rappresentato con queste opere il dualismo che c’è in internet e nei suoi media.
Se da un lato danno la possibilità di migliorare la qualità della vita, del lavoro e del divertimento, data l’estrema facilità di accedere a risorse illimitate, dall’altro espongono a ogni tipo di pericolo.
Nascosto dietro uno schermo infatti l’homo digitalis mostra la sua faccia peggiore, del tutto privo di moralità.
Dall’apparenza ruvida e sgradevole, la ruggine ha in realtà un’essenza timida, in pochi infatti colgono la sua calda bellezza e le sue sfumature infuocate; stesa dalla mano della Natura, la ruggine fiorisce, cambia, e in contrasto con gli oggetti sulle quali si posa, vive.
Proprio questa inconciliabilità l’ha fatta diventare la protagonista della mia arte: cercando qualcosa che potesse rappresentare la superficialità dei giudizi, quando si fermano all’apparenza o si fidano dei luoghi comuni, sono rimasto folgorato dalla ruggine.
Cosa meglio di questo particolare processo chimico avrebbe mostrato agli altri ciò che avevo da dire, che la vita e la bellezza possono trovarsi ancora in ciò che è definito ormai cadente.
E su cosa stenderla?
Quali oggetti avrebbero subito la trasformazione grazie a speciali vernici e potenti acidi?
Ovviamente sopra gli attrezzi da lavoro del nostro tempo, oggetti multimediali che dopo appena una ventina d’anni sono obsoleti, vecchi, superati.
Ricoprendoli di materia viva, li ho fatti rinascere sotto forma di humus, sopra cui la ruggine mette radici.”

Segue nel tempo il ciclo “In-prospettive” che segna il passaggio ad una graduale scomparsa dell’elemento hardware chiaramente riconoscibile. Un involucro irregolare ricopre parzialmente le superfici che ospitano componenti rivestiti di ruggine, o via via di ossidi e resine.

“Solo pochi occhi possono vedere al di là delle superfici, solo poche anime riescono a captare la vera essenza delle cose, delle persone, degli avvenimenti; il mio lavoro in questa fase vuole rappresentare proprio la difficoltà che ha la maggior parte della gente a percepire oltre. Mostrando quello che si cela sotto una superficie spesso anonima, piatta o ordinaria, spingo a considerare quanto possa essere sbagliato un giudizio dato in maniera affrettata. La regolarità degli involucri è squarciata per rivelare un’interiorità complessissima, fatta di percorsi tormentati, di ripensamenti: saldature come cicatrici, circuiti come sogni infranti, assemblaggi come esperienze di vita che ci permettono di essere quello che siamo. Gli spazialismi di Fontana e i meccanismi di Pomodoro hanno ispirato la mia mente e guidato la mia mano, portandomi a questi risultati.”

Il ciclo più recente è “Codicibus Ignotum“. In questa serie di opere gli oggetti tridimensionali non sono più riconoscibili, ma diventano oscuri codici, lontani alfabeti, indecifrabili scritture giunte a noi chissà da quale tempo, da quale luogo, da quale dimensione.

 

Il codice è ignoto, non c’è una chiave per decifrarlo. E’ un dono che ci viene offerto e che ci permette di metterci in particolare connessione con chi lo porge. Il pensiero va ai codici aztechi, ai simboli paleocristiani, a tavole da gioco medievali… Il ciclo è il proseguimento naturale del percorso di Morgan Zangrossi. Una ricerca che ha portato l’artista ad esplorare i meandri di un’archeologia fantastica, oscura e futuristica. Seppur ancora fortemente agganciate al filo conduttore delle precedenti, in questa serie di opere gli oggetti tridimensionali non sono più riconoscibili ma oscuri codici, lontani alfabeti, indecifrabili scritture giunte a noi da chissà quale tempo, da quale luogo, da quale dimensione. L’artista, come un viaggiatore interplanetario, ci consegna questi codici ignoti, in cui ognuno può scoprire e decifrare il proprio linguaggio personale.

Mario Bencini

Nato a Livorno, Mario Bencini ha intrapreso il suo percorso artistico nel 1979, collocandosi nella tradizione pittorica livornese con una tavolozza inconfondibile. I suoi colori, brillanti e solari, danno vita a opere luminose che trasmettono emozioni profonde. Attraverso ogni pennellata, Bencini non dipinge solo paesaggi e fiori, ma lascia impresso anche un frammento della sua anima. Le sue campagne, marine e distese di fiori sono un inno alla bellezza della natura, tradotta in una gioia di colori che avvolge lo spettatore

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Maurizio Pupilli

La ricerca di Maurizio Pupilli si fonda su una personale interpretazione del puntinismo, inteso non come mera tecnica, ma come pratica lenta e meditativa. Ogni punto è un respiro, un frammento di luce che, insieme agli altri, costruisce una vibrazione cromatica. La superficie del quadro diventa così un campo vivo, attraversato da minimi scarti di tono e da infiniti passaggi che generano l’immagine.

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Il suo linguaggio si è progressivamente distaccato dalla figurazione tradizionale per approdare a una dimensione essenziale e rarefatta. Le forme non sono descritte, ma suggerite: appaiono come presenze che emergono dal ritmo dei punti, dal dialogo continuo tra pieni e vuoti, tra densità e trasparenze. È un processo che non impone, ma lascia affiorare.

La pittura di Pupilli nasce da tempi lunghi, da gesti pazienti e costanti. Non c’è improvvisazione, ma un fluire controllato che trasmette un senso di armonia interiore. Ogni opera diventa esperienza di contemplazione, uno spazio dove la luce non solo illumina, ma costruisce e trasfigura.

In questa pratica rigorosa e al tempo stesso poetica, la natura è presenza costante: rami, radici, intrecci vegetali non sono semplici soggetti, ma pretesti per esplorare la relazione fra visibile e invisibile, fra forma e dissolvenza. È una pittura che ci invita a rallentare, a guardare davvero, a cogliere la vita sottile che vibra in ogni frammento di colore.

Lillo Ciaola

Lillo Ciaola – Ironia e leggerezza nell’arte digitale

Lillo Ciaola, nato a Caltanissetta nel 1986, porta nella sua arte digitale un’ironia intelligente e pungente che intreccia storia, mito e attualità. Le sue immagini, frizzanti e argute, si muovono tra citazione colta e intuizione pop, restituendo con leggerezza una riflessione profonda sulla natura umana. In ogni composizione si percepisce il piacere del gioco visivo e della battuta sottile, ma anche la consapevolezza di chi utilizza la cultura come strumento di dialogo e di libertà.

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L’artista costruisce universi surreali dove personaggi e simboli del passato si incontrano con quelli del presente, dando vita a una commedia visiva che mescola ironia, poesia e senso critico. Il suo linguaggio, diretto e accessibile, trasforma la storia dell’arte in un teatro contemporaneo dove tutto può accadere: figure celebri si ritrovano in situazioni improbabili, mentre elementi naturali e architettonici diventano parte del racconto.

Ciaola usa la tecnica digitale come un pennello moderno, capace di combinare nitidezza e matericità, ironia e bellezza. La stampa su carta di pregio restituisce alle sue opere un’eleganza tattile, in contrasto con la loro natura giocosa e provocatoria. L’artista non si limita a reinterpretare: reimmagina, spiazza, invita lo spettatore a guardare con occhi nuovi immagini che sembravano già note, rivelando in esse nuove possibilità di lettura e di sorriso.

Nel suo lavoro convivono il bello e il brutto, la cultura alta e la quotidianità, in un “fritto misto” di suggestioni che stimola curiosità e buonumore. Così, l’arte di Lillo Ciaola diventa un esercizio di leggerezza consapevole: un modo per raccontare la complessità del nostro tempo attraverso la sorpresa, la risata e la libertà del pensiero creativo.

Taichi Ichikawa

Nel silenzio di uno studio illuminato dalle sfumature dorato-rosate del tramonto, nascono acquarelli dalla delicatezza senza tempo. La pennellata, leggera come un sussurro, si posa sulla carta di riso pregna di promesse, trasformandola in uno specchio dell’anima femminile.

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Gli occhi languidi, profondi come pozzi d’ambra, incrociano lo sguardo dello spettatore senza timore, invitandolo a esplorare il labirinto delle emozioni umane. Donne sfrontate, che sfidano il mondo con il loro sguardo deciso, e altre perdute, con lo sguardo smarrito nel vuoto di un’incertezza interiore. Talora danzano leggere come foglie portate dal vento, i loro corpi si piegano sinuosi sotto la pioggia che scende come lacrime del cielo. Accanto a loro, il gatto si arrotola con noncuranza, complice dei loro segreti e delle loro passioni. I capelli scuri cadono come seta intorno ai volti dai lineamenti perfetti, mentre l’incarnato di porcellana conferisce loro un’aura di eterea bellezza.

In ogni pennellata si cela la maestria di un’artista che ha saputo catturare l’essenza stessa della femminilità, trasformando la morbida carta in un viaggio attraverso la bellezza e il mistero dell’universo femminile.

Elisa Biagiotti

 Maria Teresa Majoli, aprile 2025