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Maurizio Lucarelli

Maurizio Lucarelli vive e lavora a Livorno. La sua pittura si sviluppa come un incontro armonico tra colore e sensazione, dove il paesaggio diventa luogo di percezione e memoria più che di descrizione. Marine e campagne costituiscono i soggetti privilegiati della sua ricerca, osservati e restituiti attraverso una pittura sintetica, capace di evocare atmosfere cariche di poesia e calore.

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Il colore è il vero protagonista del suo lavoro: steso spesso a spatola, costruisce l’immagine per piani successivi, in una progressione di tonalità che suggerisce profondità, volumi e distanze. Le forme non sono mai rigidamente definite, ma emergono dalle vibrazioni cromatiche, invitando lo sguardo a cogliere figure e paesaggi nelle pieghe della materia pittorica.

La pittura di Lucarelli non cerca l’effetto, ma una relazione intima con il paesaggio, che diventa esperienza sensibile e contemplativa. Ogni opera restituisce una visione essenziale e lirica, in cui il colore, sapientemente dosato, trasforma la realtà in emozione visiva.

Niccolò Manetti

Niccolò Manetti è un giovane fotografo emergente, attualmente studente presso l’Accademia di Belle Arti di Pisa. La sua arte nasce da una profonda attenzione per la città di Livorno, che osserva e interpreta con uno sguardo poetico e curioso, rivelandone angoli nascosti, scorci insoliti e dettagli che spesso sfuggono all’occhio comune.

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Le sue fotografie catturano l’essenza di luoghi quotidiani e straordinari, giocando con la luce e il colore per trasformare palazzi, viali e spazi abbandonati in veri e propri palcoscenici artistici. La luce dorata delle notti livornesi, i riflessi sui mari grigi, le scie luminose che attraversano la città e le geometrie dei luoghi abbandonati diventano strumenti per raccontare storie, emozioni e suggestioni profonde.

Attraverso il suo lavoro, Manetti esplora il contrasto tra il vuoto e il pieno, tra la realtà e l’immaginazione, invitando lo spettatore a guardare oltre la superficie. La sua ricerca fotografica combina poesia critica, sensibilità artistica e attenzione tecnica, creando immagini che sono al contempo documentarie e narrative, intime e universali.

Niccolò Manetti ci offre così una nuova finestra sulla bellezza e complessità della nostra città e del mondo che ci circonda, confermando la sua capacità di trasformare la fotografia in uno strumento di osservazione, emozione e riflessione.

Mara Di Campli

Mara Di Campli ha una pittura figurativa raffinata, intrisa di ricerca e sensibilità narrativa. Livornese, classe 1957, ha iniziato da autodidatta per poi perfezionarsi alla Libera Accademia Trossi Uberti, costruendo negli anni un linguaggio visivo riconoscibile, centrato sull’isolamento del soggetto e su una tensione costante tra realtà e immaginazione.

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I suoi protagonisti – siano essi fiori, animali o figure umane – emergono da sfondi anonimi che ricordano carte da parati: ambienti mentali più che scenari reali, superfici lavorate con attenzione e rigore formale, che non raccontano ma amplificano. È proprio in questo contrasto tra presenza e assenza che si gioca la forza delle sue immagini. I soggetti, colti in pose inattese, talvolta ironiche, sembrano sospesi in un tempo privato, in un altrove che riguarda solo loro. L’artista li ritrae come se li avesse fermati con uno scatto fotografico, portando a fuoco un gesto, un’espressione, un dettaglio emotivo, mentre tutto il resto sfuma nella retorica dell’indistinto.

Le sue figure umane sono spesso individui qualunque, colti nella folla e staccati da ogni contesto. Non raccontano storie precise, ma evocano atmosfere interiori, stati d’animo, solitudini condivise. Guardandole, non possiamo fare a meno di cercare una sintonia, di immaginare chi siano, dove siano diretti, cosa stiano pensando. È un gioco sottile di intuizioni e proiezioni, in cui ognuno può trovare una propria chiave d’accesso.

Nel tempo, Di Campli ha affrontato il tema del ritratto con uno sguardo personale, preferendo corpi non convenzionali, volti segnati, sguardi obliqui, e con la modernità di un taglio fotografico. Non c’è estetismo nella sua pittura, ma una profonda empatia: l’attenzione va alla dignità nascosta, al gesto quotidiano, alla bellezza imperfetta e viva.

Premiata in diverse occasioni – tra cui il riconoscimento Fidapa al Premio Rotonda – Mara Di Campli continua a indagare la forza silenziosa delle figure che abitano il suo immaginario. Quelle che non chiedono di essere notate, ma che diventano, proprio per questo, protagoniste assolute.

Maria Teresa Majoli, luglio 2025

Paolo Paolini

Paolo Paolini è un pittore dell’anima, profondamente radicato nella tradizione figurativa livornese, ma capace di rinnovarla con una voce propria, delicata e autentica. Le sue opere si iscrivono nella scia dei Macchiaioli, ma ne smorzano il vigore con una sensibilità più intima, pacata, quasi meditativa. Non c’è enfasi nei suoi paesaggi, né retorica nei suoi mari d’inverno: solo un’emozione trattenuta, sottile, che affiora tra le pennellate leggere come una brezza salmastra.

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La tavolozza di Paolini è tenue, personale, priva di forzature. I suoi colori non gridano: sussurrano. Il verde acquamarina, il grigio perlaceo, l’azzurro che si insinua tra le nubi cariche di pioggia… sono toni che parlano di mare, di moli deserti, di quartieri popolari osservati con amore. Ma anche del vento umido che sferza il viso, del freddo che punge, della malinconia leggera che accompagna certe giornate livornesi,  mai tragica, piuttosto poetica, capace di consolare.

È una pittura immediata, costruita con poche pennellate essenziali, che restituisce l’atmosfera più che il dettaglio, la sensazione più che la descrizione. C’è un rispetto profondo per il vero, ma anche una volontà di superarlo, per restituirci uno sguardo che riesce ancora a trovare la bellezza nel quotidiano. Ogni opera sembra volerci proteggere dal rumore del mondo, offrendo rifugi silenziosi in cui la realtà si trasfigura in memoria, o in sogno.

Nei quadri di Paolini si sente il respiro di Livorno: non quello celebrativo da cartolina, ma quello più intimo, vissuto, con le sue atmosfere incerte e struggenti. Il suo è un linguaggio pittorico sobrio e sincero, che non cerca l’effetto ma la verità delle piccole cose, la luce di un istante. Come se ogni dipinto fosse una poesia visiva, capace di farci dimenticare, per un attimo, la durezza del vivere.

Maria Teresa Majoli, luglio 2025

Sergio Mazzoni

Sergio Mazzoni è nato nel 1956 a Pistoia.  Ha iniziato a dedicarsi al disegno sin da giovane. Inizia ad esporre negli anni settanta.

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Durante questo periodo ha incontrato altri artisti, Slao, Forese Lenzi e Mirando Jacomelli che hanno condiviso con lui il percorso di crescita artistica e culturale. Nel 1983, insieme a F. Calamai, F. Lotti e A. Matani, ha fondato “Il Gruppo“, incentrato sulla figura di Francesco Melani. Nel 2003 prende il via il progetto “Gruppo Blu” insieme a giovani pittori, dando inizio all’esperienza xilografica come punto di convergenza. compagni d’arte ma anche di lavoro, i membri del gruppo sono soci del Circolo Aziendale Breda e colleghi presso l’Ansaldo Breda di Pistoia. Il nome del gruppo, “Gruppo Blu”, deriva dal colore delle loro tute da lavoro, il blu, che rappresenta un segno distintivo unificante e caratterizzante nella loro vita quotidiana, al quale hanno voluto attribuire un significato artistico. Da qualche tempo si è trasferito a  Livorno, dove vive attualmente. Suoi lavori sono presenti in collezioni private in Italia e all’estero.

In galleria trovate una vasta collezione di monotipi con intervento manuale su carta, piccoli pezzi unici, dai colori poco appariscenti, nei toni dimessi del bruno, dell’ocra, del azzurro pallido e dai tratti decisi e semplici. Accompagnati talvolta dalle parole che emergono dal supporto di carta, sono piccole sintesi di pensiero, piccoli concentrati di forza espressiva, carichi di valore concettuale.

Con questa particolare tecnica, Mazzoni, ribadisce il suo alfabeto personale fatto di segni essenziali che si compongono di punti e linee formanti figure geometriche minimali quali il triangolo, principio di tutte le forme e il quadrato, materialità della terra. Come afferma Stefano Spinelli l’unione di queste due immagini dà vita a una lunga serie di rappresentazioni di case, “famiglia, intimità, rifugio, struttura forte ma anche equilibrio fragile in continua evoluzione”.

Le immagini di Mazzoni si susseguono sulle carte come un elemento seriale in continua ripetizione e, al contempo, sembrano ricercare una loro identità differenziale. E’ così che nascono questi delicati momenti artistici dove emerge la trasparenza del quotidiano e dove inaspettatamente si svolgono le fila di profonde tesi artistico-filosofiche, quali la continua dialettica tra identità e differenza e tra manualità e concettualità.”

Valeria Luschi

La pittura di Valeria Luschi si distingue per la sua calda luminosità e per la limpidezza dello sguardo con cui interpreta la realtà. Nei suoi dipinti, figurativi e immediatamente accoglienti, l’artista racconta paesaggi, scorci urbani, momenti familiari e scene di vita quotidiana con una sensibilità che unisce tradizione e contemporaneità. La sua è una visione serena e partecipe, capace di restituire emozioni semplici e profonde, legate al ritmo naturale delle cose e alla luce che le attraversa.

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Ogni opera nasce da un’osservazione attenta e affettuosa del mondo circostante: un angolo della città, un giardino, una stanza domestica diventano pretesti per esplorare il rapporto tra colore, spazio e tempo. Luschi costruisce le sue composizioni con equilibrio e misura, affidandosi a una tavolozza chiara e armoniosa che trasmette leggerezza e quiete.

Nelle sue tele, il quotidiano si trasforma in una pausa poetica, in un invito a riscoprire la bellezza delle piccole cose. L’artista riesce a dare voce alla semplicità, mostrando come anche i gesti più ordinari possano contenere un senso di pace e di gratitudine. Il risultato è una pittura che parla di vita vissuta con autenticità, capace di riconciliare chi guarda con il proprio presente.

Con il suo linguaggio figurativo, caldo e luminoso, Valeria Luschi ci conduce in uno spazio di armonia e contemplazione, dove la pittura diventa esperienza interiore e dialogo silenzioso con la realtà.

Taichi Ichikawa

Nel silenzio di uno studio illuminato dalle sfumature dorato-rosate del tramonto, nascono acquarelli dalla delicatezza senza tempo. La pennellata, leggera come un sussurro, si posa sulla carta di riso pregna di promesse, trasformandola in uno specchio dell’anima femminile.

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Gli occhi languidi, profondi come pozzi d’ambra, incrociano lo sguardo dello spettatore senza timore, invitandolo a esplorare il labirinto delle emozioni umane. Donne sfrontate, che sfidano il mondo con il loro sguardo deciso, e altre perdute, con lo sguardo smarrito nel vuoto di un’incertezza interiore. Talora danzano leggere come foglie portate dal vento, i loro corpi si piegano sinuosi sotto la pioggia che scende come lacrime del cielo. Accanto a loro, il gatto si arrotola con noncuranza, complice dei loro segreti e delle loro passioni. I capelli scuri cadono come seta intorno ai volti dai lineamenti perfetti, mentre l’incarnato di porcellana conferisce loro un’aura di eterea bellezza.

In ogni pennellata si cela la maestria di un’artista che ha saputo catturare l’essenza stessa della femminilità, trasformando la morbida carta in un viaggio attraverso la bellezza e il mistero dell’universo femminile.

Alessandro Grazi

Alessandro Grazi, artista senese, vive e lavora a Siena dove ha fondato la sua Art Lab Gallery in Pian dei Mori. La sua carriera inizia come grafico pubblicitario, mestiere che gli ha dato una solida base tecnica e una sensibilità particolare per il segno e la composizione. Da oltre trent’anni però Grazi ha scelto di dedicarsi completamente all’arte, costruendo un linguaggio personale che si muove con libertà tra pittura, grafica e scultura.

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Il suo percorso si definisce nella “Grafica Cubica”, termine da lui stesso coniato e diventato emblema di una ricerca artistica originale e coerente. Si tratta di una pratica che combina elementi grafici e pittorici, parole e immagini, segni e colori, in una trama compositiva che sembra rispondere a un ritmo interiore preciso. Le opere si caratterizzano per il dinamismo del gesto, per l’energia del tratto deciso e per una forte componente ironica e critica.

Grazi utilizza lo spazio dell’opera come se fosse una pagina bianca da riempire: linee, tratti, figure, segni grafici si alternano a tagli pittorici, a scritte o a brevi frasi, dando vita a composizioni in cui la dimensione visiva si intreccia con quella poetica. Questa modalità di lavoro richiama sia lo Spazialismo, con il suo interesse per lo spazio e il taglio, sia il Futurismo, con la sua esaltazione del dinamismo e del movimento. A queste influenze si aggiungono i riferimenti alla poesia visiva e alla mail art, che negli anni Sessanta e Settanta hanno ampliato il confine dell’opera d’arte verso territori nuovi e interdisciplinari.

La “Grafica Cubica” diventa così il contenitore di un universo complesso, dove segno e parola si mescolano in un flusso continuo. In alcune opere domina il colore, con cromie vivide e vibranti; in altre prevale la tensione del bianco e nero, che sottolinea la potenza espressiva del disegno. Sempre però si avverte la presenza di una forte componente narrativa e simbolica, che apre a riflessioni sul presente, sui sentimenti e sulle contraddizioni dell’uomo contemporaneo.

Il lavoro di Grazi è dunque allo stesso tempo rigoroso e libero, attento al gesto ma capace di mantenere leggerezza e ironia. È una ricerca che non si esaurisce in una formula ma che si rinnova costantemente, spaziando dalla bidimensionalità della pittura alla tridimensionalità della scultura. In ogni caso, rimane fedele all’idea di fondo: un’arte che si costruisce nell’equilibrio tra composizione e vitalità, tra il mestiere del grafico e la sensibilità del poeta visivo.

Oggi, con più di trent’anni di attività, Alessandro Grazi è una voce riconoscibile e stimata sia in Italia che all’estero, capace di unire il rigore professionale della sua formazione a una visione artistica ricca di invenzione, di ironia e di libertà creativa.

Stefania Hepeisen

Stefania Hepeisen, nata a Milano, laureata in Medicina e Chirurgia, ha esercitato la professione medica per molti anni. Dal 1990 si dedica alla pittura, iniziando con l’acquarello, poi passando all’acrilico e appassionandosi anche al trompe l’oeil. Successivamente, si perfezione nella pittura ad olio, che diventa la sua tecnica preferita, e specializzandosi nello stile iperrealistico. Oggi lavora tra Milano e Forte dei Marmi.

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La pittura di Stefania Hepeisen è un vero e proprio tributo alla bellezza delicata e alla preziosità dei fiori. I suoi quadri, pur rientrando nella tradizione della natura morta, vanno ben oltre il concetto di una composizione statica: ogni fiore dipinto sembra avere una storia, una sua vita interiore che si svela attraverso le morbide pieghe dei petali, catturate con una sensibilità straordinaria.

La tecnica iperrealista di questa pittrice riesce a esaltare la luce che danza delicatamente tra i fiori, sottolineando la consistenza setosa dei petali, che sembrano quasi sfiorare lo spettatore con la loro grazia. C’è un’attenzione particolare per i dettagli: la trasparenza dell’acqua nel vaso, la sottile ombra che si proietta sui petali, ogni elemento viene reso con un’eleganza impeccabile. Tuttavia, ciò che rende questa pittura davvero speciale è il calore che emana, una qualità che va oltre la precisione tecnica.

Ogni fiore che l’artista dipinge sembra emanare una poesia silenziosa e intima, che invita l’osservatore a soffermarsi e riflettere sulla fragilità della bellezza naturale, e su quel momento di perfezione che portiamo nelle nostre case quando scegliamo un fiore. È come se la pittura stessa volesse dirci che quel piccolo dono della natura merita di essere celebrato, ammirato e custodito con cura, un pezzo di mondo naturale che riceve il posto d’onore nei nostri spazi.

Le sue opere si distinguono per una dolcezza innata, che accarezza lo sguardo e riscalda l’anima. Le composizioni sono eleganti e raffinate, ogni fiore sembra posato con intenzione e affetto. È una pittura che non solo riproduce la realtà, ma le dona una nuova vita, una dimensione poetica dove la morbidezza e il calore prevalgono. In ogni fiore, possiamo leggere un omaggio alla natura stessa, una riflessione sull’importanza di preservare e onorare quella bellezza che spesso diamo per scontata.

In queste tele, si avverte una malinconia sottile, ma non cupa: piuttosto, una consapevolezza della fugacità della vita, e del valore di quegli istanti in cui la natura si manifesta in tutta la sua grazia effimera. Da ogni fiore, nasce una poesia calda, una storia raccontata con pennellate dolci e riflessive, che parla all’animo con un linguaggio universale di bellezza e armonia.

Maria Teresa Majoli

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