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Angelo Froglia

Angelo Froglia (Livorno, 1955 – Roma, 1997) è una figura complessa, vibrante e profondamente amata dai livornesi.

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Pittore, scultore, performer e spirito inquieto, ha attraversato la scena artistica italiana con un’intensità rara, sempre in bilico tra slanci creativi e fragilità personali. Dopo il diploma al liceo artistico si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Firenze e, giovanissimo, apre il suo primo atelier, iniziando a costruire un linguaggio pittorico immediato, gestuale, anticonformista. Nel 1974 partecipa alla Quadriennale di Roma, segnando una prima importante presenza sulla scena nazionale.

La sua vita, segnata anche da scelte radicali e momenti drammatici, non è mai disgiunta dall’arte: ogni esperienza, anche la più dura, diventa materia creativa. Uscito dal carcere nel 1981, rientra a Livorno e riprende a dipingere con una forza rinnovata. È qui che, nel 1984, compie il gesto destinato a renderlo celebre in tutto il mondo: le celebri “teste” ritrovate nei fossi della città e attribuite ad Amedeo Modigliani. Froglia non le considera una semplice burla, ma un’azione estetica e sociale sulla credulità, sul mito dell’artista e sul valore dell’opera. Nello stesso anno realizza il video Peitho e Apate… della persuasione e dell’inganno, premiato al Torino Film Festival.

La sua produzione pittorica prosegue instancabile: dal 1985 in avanti Froglia lavora con ritmo febbrile, creando opere potenti, immediatamente riconoscibili, e animando mostre in Italia e all’estero. La sua salute, provata dalla dipendenza, non spegne però la sua lucidità artistica. Poco prima di morire confida all’amico Massimo Carboni una frase che riassume tutta la sua poetica:
“Il tempo non conta e fin dove posso arrivare lavoro, l’importante è la convinzione che ci metti dentro.”

Angelo Froglia muore nel 1997, lasciando un’eredità artistica intensa e sincera, fatta di gesti, ribellioni, immagini e verità personali. A Livorno rimane una figura simbolica: fragile, controversa, autentica, irripetibile.

Sabrina Faustini

Sabrina Faustini sviluppa la propria ricerca pittorica attraverso una forma di astrazione materica fortemente emotiva e gestuale. I suoi lavori nascono da un’urgenza interiore, da un bisogno di comunicare stati d’animo, ricordi, visioni, utilizzando il colore come mezzo espressivo primario. I suoi paesaggi non sono descrittivi, ma evocativi: si compongono di fasce, campiture, strati che, pur astratti, restituiscono un’impressione intensa e profonda della natura, come fosse filtrata dalla memoria o da un sogno.

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L’artista lavora con sovrapposizioni cromatiche dense, lasciando affiorare l’imprevisto, l’emozione pura, la vibrazione della materia. Ogni opera si costruisce in modo istintivo, senza premeditazione razionale, e proprio per questo riesce a toccare corde universali. I colori, intensi e accostati con coraggio, diventano i veri protagonisti, capaci di generare paesaggi mentali, visioni interiori che ciascuno può interpretare secondo la propria sensibilità.

La pittura di Faustini è un invito a rallentare lo sguardo, a entrare in una dimensione contemplativa dove il tempo si dilata e la forma si dissolve, lasciando spazio alla percezione e alla memoria.

Maria Teresa Majoli

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