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Lemmy Gonthier

Lemmy Gonthier nasce in Svizzera nel 1957 e vive attualmente in Francia.

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Artista autodidatta, ha sviluppato nel tempo un linguaggio pittorico personale, in continua trasformazione, che negli ultimi anni ha conosciuto un’evoluzione profonda sia sul piano tecnico sia su quello espressivo.

La sua ricerca è rivolta ai volti: luoghi fragili in cui si depositano emozioni, dolori, ferite interiori. Nei suoi dipinti lo sguardo diventa spesso il centro narrativo, l’unico spazio in cui l’umanità resiste e continua a parlare, mentre le bocche – segnate da una linea rossa, come una ferita o uno sbaffo di rossetto – sembrano imporre il silenzio.

Nonostante l’intensità e la tensione emotiva che attraversano le opere, la pittura di Gonthier conserva una forza vitale, quasi gioiosa, capace di creare un immediato rispecchiamento con chi osserva. I volti, deformati, talvolta ornati da piume o immersi in bolle di luce, abitano un mondo onirico popolato da anime ferite, in cui la sembianza umana resta carnalmente presente ma trasformata, come se lo spirito riflettesse le condizioni vissute in vita.

Come afferma l’artista stesso, quando le parole non bastano, è la pittura a farsi linguaggio: una pratica incessantemente in divenire, attraverso cui dare forma alle passioni umane. “Viva la pittura – perché l’arte ha bisogno di te”.

Pascale Morel

Pascale Morel è un’artista francese che vive e lavora tra Troyes e Parigi. Formata all’École Municipale des Beaux-Arts di Troyes e all’atelier Met de Penninghen – Académie Julian di Parigi, ha esercitato per oltre un decennio la professione di psicoanalista, esperienza che ha profondamente influenzato il suo approccio pittorico. La sua ricerca si concentra sull’uso dei colori della terra e del sangue – marroni polverosi e rossi profondi – per imprimere volti, emozioni e anime direttamente sulla tela. Nei suoi lavori emergono la sofferenza, la morte e l’espansione dell’anima, elementi che si fondono con la materia, creando opere drammatiche, intense e di grande bellezza, capaci di comunicare una connessione profonda con l’universo e con la condizione umana.

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 “ Cosa mi dice la pittura: paesaggi informali o luoghi d’origine della pittura? Dipingo sulla tela perché la superficie delle caverne è rara oggigiorno. Mi sforzo, sull’orlo dell’abisso. Penso in tutta imbecillità, dentro un non-sapere. Devo senza posa perdere, spogliare, allarmare, risvegliare. Costruire, disfare. C’è una spinta, la percezione cercata di un legame con l’universo, la materializzazione  di una diversità, l’estrapolazione, la vertigine.

Il tema iniziale, il paesaggio, fu senza dubbio un pretesto per partire. Lotto contro la volontà del tutto cosciente di esprimere un’emozione, uno stato d’animo. Ho un bisogno folle d’inventare, dolce pazzia o orgoglio smisurato?

Mi pare che la pittura debba grattare la superficie e condurre irresistibilmente all’origine della creazione stessa.

Luogo di smarrimento voluto, un precipitare in uno spazio aleatorio, ove talvolta emerge un tramite, una passerella, il luogo abitato-disabitato che collega l’uomo all’universo.

La pittura, soglia tra la solitudine e l’incontro, è più che mai un atto di amore e di resistenza.  La pittura mi ha coinvolto. E’ la mia pelle e in essa ora cerco il corpo. ”

Davide Robert Ross

Davide Robert Ross

“I ritratti e le figure di questa esposizione di quadri, intitolata Il Tratto Dipinto, sono il racconto di un percorso che l’artista compie, con i suoi mezzi espressivi, nella raffigurazione di attimi sfuggevoli ma di grande intensità emotiva. Non c’è nulla di celato o metaforico, arriva subito chiaro che ciascun ritratto o figura, oggetto, apre percorsi sensoriali dove riconoscersi e rivedersi, non tanto nella somiglianza fisica, ma nell’aver vissuto gli stessi attimi, stati d’animo, sguardi, desideri, che vediamo esprimersi da questi dipinti.

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Davanti a questa spiazzante sincerità, entra in gioco l’artista che, con il suo particolare modo di dipingere, riesce ad espandere queste sensazioni, in tutta l’ opera, con pennellate rettilinee, decise, armonizzate dalle fini trasparenze, ci rivelano una pittura dinamica, nervosa, travagliata, impaziente, che si traduce in un’ immagine non certo idilliaca, ma piuttosto si traduce in un senso di decadenza, caratteristica dei nostri tempi, inchinandosi alla regola fondamentale: l’Arte deve essere espressione della nostra contemporaneità, altrimenti perderebbe la sua funzione e si ridurrebbe ad una compiacente copertina patinata.

Arrivando al cuore, cioè il valore artistico di Il “Tratto Dipinto”, questo titolo potrebbe sembrare metaforico, ma in realtà è molto descrittivo e concreto, e deriva dalla personale ricerca di Ross di conservare la stessa immediatezza e potenza che ha il tratto di un disegno nell’ attimo in cui si inizia a rendere concreto il pensiero, cioè fin dai primi segni che prendono vita con il tratto della matita.

Spesso questa spontaneità, viene perduta nel passaggio successivo, cioè dipingendo, magari a favore di una maggior precisione, oppure perchè l’ artista decide per un tipo di resa pittorica più convenzionale.

Nella pittura di Ross, si nota però una volontà, non solo di conservare, ma anche di amplificare la naturale potenza espressiva del disegno, riproponendone la naturalità con i pennelli, al punto che, in alcuni casi, somigliano più a degli schizzi che ad un dipinto.

Il tutto è ben bilanciato e amalgamato, da una regia sicura delle proprie abilità e dal suo chiaro obbiettivo: dipingere il Tratto!”

Davide Robert Ross

 

Rosy Mantovani

Rosy Mantovani: tra solitudine e resilienza

Le opere di Rosy Mantovani raccontano un’umanità sospesa, fragile ma capace di resistere. Giovani donne e adolescenti emergono dai paesaggi urbani delle periferie, luoghi crudi e distopici che diventano metafora di una società impoverita nei valori e incapace di guardare al futuro con fiducia. Queste figure sono presenze-assenze: icone silenziose di un tempo in cui la comunicazione è globale ma l’umanità sembra smarrita, rinchiusa nel proprio “io” e incapace di trasformarsi in un “noi”.

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L’infanzia perde l’aura simbolica tradizionale e diventa specchio di una società anestetizzata, ma proprio attraverso la candida presenza dei giovani protagonisti, Mantovani suggerisce possibilità di rinascita. Come fiori cresciuti tra le crepe dell’asfalto, queste figure incarnano la forza della resilienza: occhi assorti nei pensieri ma pronti a non arrendersi, sguardi rivolti al domani nonostante la desolazione circostante.

Nata a Vigevano nel 1968, Mantovani ha iniziato come grafica pubblicitaria diplomata all’Accademia d’Arti Applicate di Milano, perfezionandosi in una prestigiosa agenzia milanese. La sua formazione artistica prosegue con la Fondazione Roncalli di Vigevano sotto la guida dei pittori Oronzo Mastro e Davide Avogadro, esperienze che le hanno permesso di sviluppare una cifra stilistica personale, capace di coniugare precisione tecnica e profondità emotiva.

La pittura di Mantovani si muove tra malinconia e speranza, narrando il paradosso della globalizzazione: un mondo unito nelle distanze fisiche ma frammentato nei legami umani. Le periferie diventano scenari di contrasto, dove il caos del mondo esterno e il silenzio interiore dei soggetti coesistono. Il mito del progresso e la religione del lusso e del divertimento lasciano spazio a una solitudine malinconica, eppure la forza interiore dei protagonisti emerge come luce che attraversa le ombre urbane.

Ogni opera è un invito a osservare la vita con occhi attenti, a riconoscere le crepe ma anche i germogli di speranza. Nei dipinti di Mantovani, vulnerabilità e resistenza convivono: la solitudine diventa occasione di riflessione, la quiete interiore si fa gesto di resistenza, la fragilità diventa poesia visiva. La sua arte ci ricorda che, nonostante il mal di vivere, la bellezza dei piccoli gesti e degli sguardi consapevoli può dare senso al nostro tempo.

Maria Teresa Majoli, settembre 2025

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