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Gabriella Maria Coppetti

Nata a Cagliari nel 1984, Gabriella Maria Coppetti si trasferisce in Toscana nel 2001 e avvia un percorso artistico che unisce formazione solida e ricerca personale. Dopo gli inizi da autodidatta e gli studi alla Scuola di Comics di Firenze, consegue con il massimo dei voti i diplomi in Pittura e Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Da allora partecipa a numerose esposizioni collettive e affianca alla pittura altre pratiche come l’artigianato creativo, la fotografia e installazioni site-specific.

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Il suo lavoro nasce da una base tecnica rigorosa, ma si distacca presto dalla rappresentazione tradizionale per esplorare territori più intimi e complessi. Il figurativo, nelle sue opere, non è mai descrittivo: è un linguaggio fluido, una soglia verso stati emotivi e psicologici. Le figure si muovono tra metamorfosi, sospensioni, alterazioni dello sguardo; non cercano l’estetica del dettaglio, ma la restituzione di un’esperienza interiore.

La pittura diventa così un mezzo per investigare identità, percezione e memoria. Ogni variazione cromatica, ogni forma che si trasforma, diventa il segno di un’emozione viva, di un pensiero che si manifesta nella materia. Le opere di Coppetti non offrono risposte, ma domande: invitano lo spettatore a entrare in un tempo dilatato, in cui il reale si sfuma e lascia emergere un livello più profondo, quello delle sensazioni, dei ricordi, delle vulnerabilità. Il risultato è un figurativo contemporaneo capace di parlare al presente, mantenendo un forte legame con la tradizione ma rinnovandola attraverso un linguaggio sensoriale, introspettivo e in continuo movimento.

Claudio Citi

Claudio Citi

Tra ironia, natura e inquietudine: metamorfosi contemporanee

Claudio Citi, artista livornese, lavora con una pittura figurativa vivace e accattivante, che riesce a fondere sapientemente amore per la natura e critica sociale. Le sue opere, anche di grande formato, affascinano per l’uso esperto del colore e per la leggerezza apparente delle forme, ma nascondono spesso significati profondi, talvolta scomodi, che emergono con sottile ironia.

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Animali, piante ed elementi naturali popolano le sue tele, ma raramente sono rappresentati nella loro forma originaria. Citi gioca con la trasformazione, dando vita a creature ibridate, mutate, sospese tra realtà e immaginazione. Queste metamorfosi, trattate con un tocco insieme amorevole e inquietante, sembrano suggerire una riflessione sul nostro rapporto con il mondo naturale. C’è, nelle sue figure – come certi polli geneticamente modificati che ci osservano con sguardo intelligente e beffardo – una vena ironica e quasi macabra, che diventa commento tagliente sull’evoluzione forzata, sulla manipolazione biotecnologica, sulla perdita di autenticità.

Ogni opera è un invito a guardare oltre, a cogliere l’ambiguità tra gioco e minaccia, tra bellezza e dissonanza. Citi ci spinge a riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte, ma senza mai rinunciare a un linguaggio visivo accessibile, che accoglie lo spettatore con grazia e lo accompagna, quasi con un sorriso, verso la consapevolezza.

La leggerezza del gioco non sminuisce, ma amplifica il potere del messaggio: il suo è un mondo in cui la meraviglia si mescola al dubbio, e la natura diventa specchio delle nostre paure, delle nostre aspirazioni, dei nostri limiti.

Scultore oltre che pittore, realizza anche originali gioielli d’arte. Nel 2019 ha vinto il Premio della Giuria  a La Quadrata con l’opera Naturalmentetossico, esposta in seguito ad Arte Padova 2019.

Maria Teresa Majoli, aprile 2025

Francesco Manenti

Francesco Manenti – Figure sospese e tensioni interiori

Francesco Manenti, nato a Carpi nel 1974 e attivo a Modena, è un artista poliedrico che lavora tra pittura, illustrazione, teatro e circo contemporaneo. Essenzialmente autodidatta, ha sviluppato uno stile personale che unisce sospensione, empatia e metamorfosi, dando vita a opere capaci di evocare emozioni profonde più che di descrivere la realtà.

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Al centro della sua pittura ci sono spesso i cani, ma non intesi come animali domestici o gioiosi: diventano figure esistenziali, fragili e dolorose, intrappolate in dinamiche interiori che l’osservatore può riconoscere nella propria esperienza. Le loro posture e i gesti suggeriscono desideri di libertà trattenuti da legami invisibili, metafore dell’anima che cerca di liberarsi ma resta guidata e contenuta. Sono figure che chiedono attenzione, ascolto e rispetto per il loro movimento trattenuto.

Le opere di Manenti, come le serie “Strane Creature Abbandonate Richiedenti Trasformazione Interiore”, riflettono un’idea di arte che è prima di tutto empatia. La materia pittorica sfuma e accenna, creando presenze che emergono come ectoplasmi da spazi rarefatti e struggenti. La pittura non racconta in modo diretto, ma invita lo spettatore a leggere tra le righe della forma e del colore, trasformando la visione in un’esperienza interiore.

Oltre ai cani, Manenti realizza serie come le “Etere”, dove figure stilizzate e delicate si confrontano con spazi sospesi, creando narrazioni minime che parlano di fragilità, desideri e tensioni interiori. Ogni quadro diventa così un piccolo racconto umano e simbolico, capace di toccare corde profonde e universali, tra memoria, emozione e metafora.

La forza delle opere di Francesco Manenti sta nella capacità di unire sensibilità e rigore espressivo: le figure, pur essendo essenziali e sintetiche, comunicano intensità emotiva e complessità psicologica. L’osservatore viene invitato a fermarsi, a osservare e a riflettere, entrando in contatto con ciò che di più primordiale e vero ci portiamo dentro.

La pittura di Manenti non è mai decorativa: è esercizio di attenzione, ricerca di significato, invito alla trasformazione. Ogni tela, ogni figura, ogni gesto diventa metafora della condizione umana, tra fragilità e resilienza, istinto e controllo. In questo senso, l’arte di Manenti è sospensione e metamorfosi, poesia visiva che parla direttamente all’anima dello spettatore.

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