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Aurore Lephilipponnat

Aurore Lephilipponnat è una giovane artista francese, nata nel 1983 a Trans en Provence

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Con questa parole descrive se stessa e il proprio lavoro:

“Noi siamo il frutto dei nostri incontri, di ciò che ci interessa, ci ispira, ci spiace. Siamo la somma di tutte le cosa che si accumulano nella nostra vita. E così produciamo e riproduciamo l’insieme degli elementi di cui siamo imbevuti.

In questo lungo cammino che è l’esistenza, il pennello mi è venuto incontro come strumento di espressione, di dissezione, di contemplazione del mondo che mi circonda. Una barriera tra il reale e l’immaginario, uno scudo contro la violenza, la brutalità, e ogni sorta di colpi che si piantano come coltelli nella fragilità dell’ anima.

Ogni cosa che si apre alla vita, torna alla terra, all’humus,  e restituisce il suo mantello di piume,  adorno di ori e maschere grottesche, alla Terra fonte originale della vita stessa.  Le vene sulle mani sono reti grondanti filamenti organici e spugnosi, nelle quali l’inchiostro diviene padrone.  Lasciarsi andare, in una rapida occhiata alla natura della vita : incostante, vera, pura, incontrollabile.

Così la pittura è una via di fuga dalla sofferenza, una negazione dell’apparire, una protezione, una copertura, una alcova amniotica, una introspezione nell’intimità dell’Io, uno sguardo contemplativo dal profondo verso ciò che sta fuori.

Le mie opere si esprimono in sintonia con la danza Butoh, fonte di ispirazione, nel tentativo di combinare la cognizione della caducità del corpo nell’ inevitabile  invecchiamento, la natura umana posta di fronte alla sua impermanenza e a tutta la bellezza dello spirito.”

Aurore Lephilipponnat

Alessandra Cantini

Alessandra Cantini è una poliedrica artista italiana: attrice, scrittrice, intellettuale e creatrice visiva. Ha iniziato la sua carriera giovanissima nel film La prima cosa bella di Paolo Virzì e da allora ha costruito un percorso eclettico che attraversa giornalismo, relazioni internazionali, pittura, poesia e ricerca artistica.

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Le sue opere esplorano la complessità dell’identità femminile e il rapporto della donna con il proprio corpo e con l’altro sesso, spesso con immagini intense e provocatorie, mai volgari, che indagano fragilità, ferite, angoscia e desiderio di indipendenza, senza aderire a etichette o dogmi femministi.
Tra le sue opere più significative si segnalano Nuda poesia. Iconopoesia dell’eterno femminino, un connubio di immagini e versi che esplorano l’essenza femminile, e Sacro maschio, un saggio interdisciplinare che analizza criticamente i rapporti tra i sessi e la società contemporanea. La sua produzione comprende inoltre titoli di narrativa, saggistica e riflessione culturale, sempre orientati alla sperimentazione e alla ricerca visiva e concettuale.

Gabriella Maria Coppetti

Nata a Cagliari nel 1984, Gabriella Maria Coppetti si trasferisce in Toscana nel 2001 e avvia un percorso artistico che unisce formazione solida e ricerca personale. Dopo gli inizi da autodidatta e gli studi alla Scuola di Comics di Firenze, consegue con il massimo dei voti i diplomi in Pittura e Decorazione presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze. Da allora partecipa a numerose esposizioni collettive e affianca alla pittura altre pratiche come l’artigianato creativo, la fotografia e installazioni site-specific.

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Il suo lavoro nasce da una base tecnica rigorosa, ma si distacca presto dalla rappresentazione tradizionale per esplorare territori più intimi e complessi. Il figurativo, nelle sue opere, non è mai descrittivo: è un linguaggio fluido, una soglia verso stati emotivi e psicologici. Le figure si muovono tra metamorfosi, sospensioni, alterazioni dello sguardo; non cercano l’estetica del dettaglio, ma la restituzione di un’esperienza interiore.

La pittura diventa così un mezzo per investigare identità, percezione e memoria. Ogni variazione cromatica, ogni forma che si trasforma, diventa il segno di un’emozione viva, di un pensiero che si manifesta nella materia. Le opere di Coppetti non offrono risposte, ma domande: invitano lo spettatore a entrare in un tempo dilatato, in cui il reale si sfuma e lascia emergere un livello più profondo, quello delle sensazioni, dei ricordi, delle vulnerabilità. Il risultato è un figurativo contemporaneo capace di parlare al presente, mantenendo un forte legame con la tradizione ma rinnovandola attraverso un linguaggio sensoriale, introspettivo e in continuo movimento.

Davide Giallombardo

Davide Giallombardo incentra la sua ricerca sulla natura umana, indagata con uno sguardo ravvicinato, diretto, a volte spietato. Le figure che popolano i suoi dipinti emergono dal buio con una presenza intensa: volti segnati, asimmetrici, attraversati da ombre profonde. Sono esseri sospesi tra il reale e l’archetipo, tra la fragilità del corpo e ciò che resta impresso nella memoria emotiva. L’artista ritrae l’uomo nel suo lato più crudo e autentico, catturandone i contrasti, la vulnerabilità, la forza che resiste nel tempo e nella quotidianità.

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Parallelamente alla sua produzione pittorica, da alcuni anni Giallombardo affianca un lavoro digitale che non altera la sua identità artistica. Cambia il mezzo, ma la sostanza rimane intatta: atmosfere oscure, luci soffuse, scenari che sembrano provenire da ricordi lontani o da luoghi immaginati. Le sue immagini digitali evocano una nostalgia antica e senza tempo, popolata da fanciulle eteree, cavalieri, castelli romantici, figure enigmatiche e ritratti conturbanti.

Che lavori con il colore e la materia o con gli strumenti dell’intelligenza artificiale, la poetica dell’artista non muta. Il suo tratto è riconoscibile per la capacità di orchestrare toni cupi e lampi di luce, ombre che inghiottono e bagliori che rivelano, creando ambienti emotivi profondi e complessi. L’opera di Giallombardo vibra di un mistero sottile, di una tensione narrativa e visiva che attraversa tDavide Giallombardo: pittura e digitale per esplorare la natura umana tra ombre, luci soffuse e visioni misteriose. Atmosfere intense e profonde.utto il suo percorso. Ed è proprio in questa coerenza poetica, capace di adattarsi ai linguaggi senza perdere forza, che si manifesta la sua cifra più autentica.

Maurizio Barraco

Maurizio Barraco

Le donne di Maurizio Barraco non appartengono al regno della seduzione. Non c’è lussuria nei loro corpi nudi, non c’è compiacimento nello sguardo di chi le dipinge. Sono presenze sospese, colte nel fragile equilibrio tra il bisogno e la resa, tra la consapevolezza del proprio corpo e l’impossibilità di farne davvero casa. Nella pittura di Barraco la nudità non è scelta, ma condizione: un destino che si impone, una pelle che diventa prigione e testimonianza insieme.

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I suoi corpi sembrano respirare un dolore antico, un lutto silenzioso per la propria innocenza perduta. Sono donne che si devono concedere, che si offrono per necessità o per sopravvivenza, ma che dentro quella resa conservano ancora la dignità di un’anima vigile. Non cercano lo sguardo dell’altro: lo subiscono. E proprio in questo sguardo subito, accettato come una fatalità, si concentra tutta la loro tragedia.

Barraco lavora con un linguaggio diretto, sincero, senza abbellimenti. La sua pittura è asciutta, quasi crudele nella verità che racconta, ma attraversata da una sottile pietà. Ogni volto, ogni posa è un frammento di racconto: una storia di costrizione, di vulnerabilità, di consapevolezza senza riscatto. Le sue donne non sono eroine, ma testimoni di un destino comune, simboli di una femminilità ferita che non rinuncia alla propria presenza.

Maurizio Barraco è nato a Palermo, dove si è laureato presso l’Accademia di Belle Arti. Espone in Italia e all’estero dal 1992. Si dedica anche all’illustrazione e ha realizzato, tra le altre, quelle per il libro di poesie MARE’CAGE – Ovvero la palude dei sensi di Alex Triglias e Maurizio Barraco.
La sua pittura continua a interrogare lo spettatore, restituendo alla figura femminile la complessità, la fragilità e la verità che spesso lo sguardo maschile dimentica.

Futurboba

Luca Borchio, in arte Futurboba, è un autore che trasforma la materia in poesia. Le sue opere nascono dall’incontro fra gesto, tempo e superficie: disegni minuti e intensi, che si adagiano su legni già vissuti, portatori di cicatrici, venature e memorie. Queste superfici non vengono cancellate ma accolte, diventando parte integrante dell’opera. Su di esse Futurboba fa affiorare corpi stilizzati, anime leggere, abbracci e attese, gesti sospesi fra gioco e preghiera. È un linguaggio fatto di segni essenziali, di vuoti che parlano, di dolcezze ostinate che resistono al tempo.

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Nelle sue figure si ritrovano le fragilità quotidiane e i piccoli miracoli dell’esistenza: fragili, imperfetti, ma sacri. L’artista lavora per sottrazione, con pochi elementi — una linea, un pensiero, un cuore inciso — ma ogni segno possiede una densità emotiva straordinaria. A volte scrive, altre tace, ma in entrambi i casi riesce a toccare corde profonde, là dove dolore e tenerezza si confondono, dove anche le rotture diventano carezze e il custodire diventa un atto rivoluzionario.

Futurboba non è solo un disegnatore: è un narratore visivo che attraversa la materia come fosse un diario. La sua ricerca parte dalla fotografia, campo in cui si è inizialmente distinto per le sperimentazioni con tecniche di alterazione dell’immagine. Già nella prima personale, La realtà non mi basta, l’artista utilizzava la varichina per modificare le fotografie, segnando l’inizio di una costante indagine sulla materia e sul tempo.

Decisivo, nel suo percorso, l’incontro con Gabriele Devecchi, cofondatore del Gruppo T e figura di spicco dell’arte cinetica e programmata. Da quel momento Futurboba amplia i propri strumenti e sperimenta l’uso dell’alcool per alterare i colori dei marker, o il sottovuoto per fissare e preservare i lavori. Queste ricerche gli consentono di attraversare i confini tra grafica, pittura e poesia, dando vita a un linguaggio personale dove i titoli stessi diventano parte della narrazione.

Dalle superfici di legno alle carte, dai segni rapidissimi agli interventi pittorici più meditati, ogni opera nasce da un’urgenza espressiva immediata ma capace di toccare in profondità. Il suo mondo è popolato da figure essenziali, intime e universali insieme, che ci ricordano quanto l’arte possa essere al tempo stesso ferita e carezza, memoria e desiderio. Nel cuore del legno, ultima mostra dell’artista, conferma questa direzione poetica e materica, in cui l’umanità si fa segno e respiro.

Futurboba ( Luca Borchio) ha iniziato il suo percorso artistico con la fotografia. Nella sua prima personale dal titolo: “La realtà non mi basta” ha presentato una serie di foto elaborate e trattate con la varichina. L’incontro con Gabriele Devecchi , cofondatore del Gruppo T, avanguardia artistica nell’ambito dell’arte cinetica e programmata, è una tappa importante. Sperimenta tecniche disparate, tra le quali l’acool con il quale elabora il colore dei marker, e il sottovuoto, che usa per fissare i suoi lavori nel tempo plastificandoli.
Le opere su carta che abbiamo in galleria sono grafica, pittura e poesia allo stesso tempo, a partire dai titoli che fanno parte integrante del racconto e completano i tratti decisi e rapidi, resi morbidi dal colore diluito.

Tra le personali:
“la realtà non mi basta” – galleria Spirit – Milano – 2001
“Illuminazione post atomica” – – galleria Arte in Scacco – Vercelli – 2005
“Arte Sintetica” – galleria Arte in Scacco – Vercelli – 2006
“Sono apparso alla Madonna” – galleria di ART on STAGE  – Vigevano – 2011
L’Apocalisse di Brando” – galleria di ART on STAGE  – Vigevano – 2014
“Babele” Outartlet gallery- Vigevano – 2018

“La Donna di Atlantide” – Il Melograno Art Gallery Livorno – 2019

Nel cuore del legno – Melograno Art Gallery Livorno – 2025

Taichi Ichikawa

Nel silenzio di uno studio illuminato dalle sfumature dorato-rosate del tramonto, nascono acquarelli dalla delicatezza senza tempo. La pennellata, leggera come un sussurro, si posa sulla carta di riso pregna di promesse, trasformandola in uno specchio dell’anima femminile.

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Gli occhi languidi, profondi come pozzi d’ambra, incrociano lo sguardo dello spettatore senza timore, invitandolo a esplorare il labirinto delle emozioni umane. Donne sfrontate, che sfidano il mondo con il loro sguardo deciso, e altre perdute, con lo sguardo smarrito nel vuoto di un’incertezza interiore. Talora danzano leggere come foglie portate dal vento, i loro corpi si piegano sinuosi sotto la pioggia che scende come lacrime del cielo. Accanto a loro, il gatto si arrotola con noncuranza, complice dei loro segreti e delle loro passioni. I capelli scuri cadono come seta intorno ai volti dai lineamenti perfetti, mentre l’incarnato di porcellana conferisce loro un’aura di eterea bellezza.

In ogni pennellata si cela la maestria di un’artista che ha saputo catturare l’essenza stessa della femminilità, trasformando la morbida carta in un viaggio attraverso la bellezza e il mistero dell’universo femminile.

Giovanni Graziani

Giovanni Graziani è nato nel 1946 a Livorno, dove vive e lavora tuttora. La sua pittura si distingue per un tratto pulito, realistico e semplice, che mette in evidenza il suo interesse per la quotidianità e l’essenza dell’esperienza umana. I suoi soggetti sono tratti dalla vita di tutti i giorni: persone colte in attimi di riflessione, di pausa o di silenzio. Sono figure che sembrano sospese nel tempo, fermate nei loro gesti abituali, come giovani pensose, anziani assorti nella lettura, ragazze che riposano sugli scalini di una chiesa.

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Per Graziani, il contesto, pur importante e curato, non è mai protagonista, ma piuttosto un interlocutore che accompagna i suoi protagonisti. Quando non c’è un essere umano rappresentato, sono gli oggetti e le tracce della sua presenza a prendere il posto del soggetto. Tavolini vuoti di un bar all’aperto, una barca rovesciata su una spiaggia deserta, una panchina solitaria di fronte al mare: questi sono gli emblemi della sua poetica, che invita alla riflessione sul silenzio, sul tempo che passa e sull’introspezione.

Nel suo lavoro, Graziani crea un dialogo continuo con la solitudine e la meditazione, spingendo lo spettatore a riflettere sulla propria condizione, sulla fragilità dell’esistenza e sull’importanza dei piccoli momenti di riflessione quotidiana. Non c’è mai una risposta chiara o un messaggio definitivo, ma un invito a fermarsi e guardare, a entrare in sintonia con l’individualità dei suoi soggetti, anche quando questi sono lontani, invisibili, solo testimoniati dalle tracce lasciate nel mondo.

Maria Teresa Majoli, febbraio 2025

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