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Claudio Citi

Claudio Citi

Tra ironia, natura e inquietudine: metamorfosi contemporanee

Claudio Citi, artista livornese, lavora con una pittura figurativa vivace e accattivante, che riesce a fondere sapientemente amore per la natura e critica sociale. Le sue opere, anche di grande formato, affascinano per l’uso esperto del colore e per la leggerezza apparente delle forme, ma nascondono spesso significati profondi, talvolta scomodi, che emergono con sottile ironia.

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Animali, piante ed elementi naturali popolano le sue tele, ma raramente sono rappresentati nella loro forma originaria. Citi gioca con la trasformazione, dando vita a creature ibridate, mutate, sospese tra realtà e immaginazione. Queste metamorfosi, trattate con un tocco insieme amorevole e inquietante, sembrano suggerire una riflessione sul nostro rapporto con il mondo naturale. C’è, nelle sue figure – come certi polli geneticamente modificati che ci osservano con sguardo intelligente e beffardo – una vena ironica e quasi macabra, che diventa commento tagliente sull’evoluzione forzata, sulla manipolazione biotecnologica, sulla perdita di autenticità.

Ogni opera è un invito a guardare oltre, a cogliere l’ambiguità tra gioco e minaccia, tra bellezza e dissonanza. Citi ci spinge a riflettere sulle conseguenze delle nostre scelte, ma senza mai rinunciare a un linguaggio visivo accessibile, che accoglie lo spettatore con grazia e lo accompagna, quasi con un sorriso, verso la consapevolezza.

La leggerezza del gioco non sminuisce, ma amplifica il potere del messaggio: il suo è un mondo in cui la meraviglia si mescola al dubbio, e la natura diventa specchio delle nostre paure, delle nostre aspirazioni, dei nostri limiti.

Scultore oltre che pittore, realizza anche originali gioielli d’arte. Nel 2019 ha vinto il Premio della Giuria  a La Quadrata con l’opera Naturalmentetossico, esposta in seguito ad Arte Padova 2019.

Maria Teresa Majoli, aprile 2025

Valeria Luschi

La pittura di Valeria Luschi si distingue per la sua calda luminosità e per la limpidezza dello sguardo con cui interpreta la realtà. Nei suoi dipinti, figurativi e immediatamente accoglienti, l’artista racconta paesaggi, scorci urbani, momenti familiari e scene di vita quotidiana con una sensibilità che unisce tradizione e contemporaneità. La sua è una visione serena e partecipe, capace di restituire emozioni semplici e profonde, legate al ritmo naturale delle cose e alla luce che le attraversa.

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Ogni opera nasce da un’osservazione attenta e affettuosa del mondo circostante: un angolo della città, un giardino, una stanza domestica diventano pretesti per esplorare il rapporto tra colore, spazio e tempo. Luschi costruisce le sue composizioni con equilibrio e misura, affidandosi a una tavolozza chiara e armoniosa che trasmette leggerezza e quiete.

Nelle sue tele, il quotidiano si trasforma in una pausa poetica, in un invito a riscoprire la bellezza delle piccole cose. L’artista riesce a dare voce alla semplicità, mostrando come anche i gesti più ordinari possano contenere un senso di pace e di gratitudine. Il risultato è una pittura che parla di vita vissuta con autenticità, capace di riconciliare chi guarda con il proprio presente.

Con il suo linguaggio figurativo, caldo e luminoso, Valeria Luschi ci conduce in uno spazio di armonia e contemplazione, dove la pittura diventa esperienza interiore e dialogo silenzioso con la realtà.

Giuseppe Trentacoste

Giuseppe Trentacoste

Giuseppe Trentacoste (Firenze, 1977) sviluppa una personale ricerca sulla materia e sulla memoria degli oggetti, concentrandosi da oltre vent’anni su una tecnica che definisce “tela piegata”. La sua opera nasce dal gesto semplice ma profondamente simbolico del piegare sacchi di juta, in precedenza utilizzati per contenere caffè, tabacco o cacao. Materiali di scarto, impregnati di storia e di viaggi, diventano così protagonisti di un linguaggio che unisce arte povera, rilievo scultoreo e pittura.

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«La mia tecnica – spiega l’artista – è basata sull’utilizzo di sacchi di juta che, in precedenza, contenevano caffè, tabacco o cacao. Piegando questi sacchi, che recupero presso torrefazioni locali o grazie ad amici che tornano da viaggi all’estero, creo bassorilievi. Attraverso la manualità e le diverse piegature, che non seguono una precisa logica, faccio in modo che i timbri di provenienza rimangano in vista, cosicché il fruitore della mia opera possa conoscere il vissuto e il percorso del sacco. Infatti, esso stesso è, per me, veicolo e opera d’arte, strumento e risultato: il sacco ha una sua memoria e una sua storia, così come tutti gli oggetti».

Il processo è complesso e in continua evoluzione dal 2005. I sacchi vengono piegati più volte, intelaiati, trattati con resine, colle e colori acrilici per raggiungere una compattezza e una rigidità pari a quella della plastica, pur restando internamente vuoti e leggeri. La juta, materiale povero e ruvido, rinasce in nuove forme: da semplice contenitore diventa superficie viva, trama pulsante di una narrazione visiva che conserva i segni del proprio passato.

L’uso del sacco di juta e dell’imbottitura conferisce all’opera una tridimensionalità grezza, fatta di materiali umili che contrastano con la forza visiva e concettuale del soggetto. In molti lavori di Trentacoste, la materia diventa teatro di un immaginario ironico e surreale: figure, simboli e personaggi del mondo pop e infantile emergono dal rilievo come apparizioni giocose, capaci di trasformare l’oggetto in un racconto corale.

Attraverso la “tela piegata”, Trentacoste trasforma la memoria del materiale in linguaggio poetico. Ogni piega è un respiro, ogni trama un percorso. Nella sua ricerca si intrecciano sostenibilità, recupero e libertà espressiva: il sacco conserva la sua voce originaria ma parla un linguaggio nuovo, quello dell’arte che sa vedere oltre la superficie delle cose.

Mario Bencini

Nato a Livorno, Mario Bencini ha intrapreso il suo percorso artistico nel 1979, collocandosi nella tradizione pittorica livornese con una tavolozza inconfondibile. I suoi colori, brillanti e solari, danno vita a opere luminose che trasmettono emozioni profonde. Attraverso ogni pennellata, Bencini non dipinge solo paesaggi e fiori, ma lascia impresso anche un frammento della sua anima. Le sue campagne, marine e distese di fiori sono un inno alla bellezza della natura, tradotta in una gioia di colori che avvolge lo spettatore

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Emiliano Dalle Piagge (UODI)

Uodi, pseudonimo di Emiliano Dalle Piagge, è un artista che sfugge a ogni definizione tradizionale, fondendo l’energia della street art con la narrativa del fumetto e la libertà espressiva della tela. Nato dalla scuola del fumetto, il suo lavoro evolve verso un linguaggio autonomo, capace di oscillare tra ironia e inquietudine, leggerezza e violenza, narrazione e astrazione. Ogni sua creazione diventa un universo visivo autonomo, dove caos e controllo convivono in un equilibrio sorprendentemente armonico.

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Le opere di Uodi, spesso popolate da figure senza volto avvolte in armature punteggiate di spilli, invitano lo spettatore a confrontarsi con un mondo sospeso tra gioco e provocazione. In “Opus tra spilli, banane e skate”, ad esempio, la figura domina un terreno instabile di banane gialle, simbolo di fragilità e rischio, mentre il gesto iconico della mano suggerisce trasgressione e forza visiva. L’artista costruisce così piccoli enigmi, in cui ogni dettaglio – dal percorso instabile al gesto simbolico – diventa parte di un racconto più ampio, ironico e poetico allo stesso tempo.

Uodi raramente si mostra di persona, vivendo attraverso le sue opere e trasformando ogni esperienza estetica in un momento di scoperta e meraviglia. Le sue creazioni sono allo stesso tempo istintive e calcolate, capaci di coinvolgere lo spettatore in un dialogo silenzioso e profondo, dove realtà e finzione, comicità e pericolo, corpo e armatura si intrecciano in un immaginario unico. Con la sua capacità di fondere colore, forma e gesto, Uodi conferma il suo talento nel creare un mondo visivo originale, sorprendente e dissacrante, capace di rimanere impresso nella memoria di chi osserva.

Sabrina Faustini

Sabrina Faustini sviluppa la propria ricerca pittorica attraverso una forma di astrazione materica fortemente emotiva e gestuale. I suoi lavori nascono da un’urgenza interiore, da un bisogno di comunicare stati d’animo, ricordi, visioni, utilizzando il colore come mezzo espressivo primario. I suoi paesaggi non sono descrittivi, ma evocativi: si compongono di fasce, campiture, strati che, pur astratti, restituiscono un’impressione intensa e profonda della natura, come fosse filtrata dalla memoria o da un sogno.

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L’artista lavora con sovrapposizioni cromatiche dense, lasciando affiorare l’imprevisto, l’emozione pura, la vibrazione della materia. Ogni opera si costruisce in modo istintivo, senza premeditazione razionale, e proprio per questo riesce a toccare corde universali. I colori, intensi e accostati con coraggio, diventano i veri protagonisti, capaci di generare paesaggi mentali, visioni interiori che ciascuno può interpretare secondo la propria sensibilità.

La pittura di Faustini è un invito a rallentare lo sguardo, a entrare in una dimensione contemplativa dove il tempo si dilata e la forma si dissolve, lasciando spazio alla percezione e alla memoria.

Maria Teresa Majoli

Portfolio