Descrizione
Tecnica mista su tela, cm. 125×150
La tela non è intelaiata
In questo dipinto del ciclo visionario di Ottavio Mangiarini, lo sfondo rosso-arancio, intenso e vibrante, domina la scena e imprime subito una forte tensione emotiva e drammatica. È un colore che non fa da semplice fondale, ma agisce come atmosfera, come campo energetico che avvolge e contrasta le figure.
La composizione è divisa in due poli principali. A sinistra emerge un busto umano scuro, reso con pennellate dense e stratificate, in cui affiorano gocciolamenti e trasparenze che conferiscono una texture organica e vitale. La parte superiore è compatta e ombrosa, mentre un braccio e una porzione del petto, più chiari, quasi bianchi, suggeriscono un processo di dissoluzione o un lampo di illuminazione. Il volto, stilizzato e spettrale, è attraversato da una linea rossa che taglia diagonalmente il naso e l’occhio, un segno enigmatico che accentua l’inquietudine.
A destra, sospese nel vuoto, si stagliano un paio di gambe scure, isolate, senza un corpo a sostenerle. I piedi nudi pendono verso il basso, creando un’immagine di sospensione e assenza di gravità. La separazione netta tra busto e gambe amplifica il senso di frattura e smembramento, richiamando il tema della disconnessione tra le parti di sé, tra corpo e anima, tra coscienza e inconscio.
Altri elementi contribuiscono a stratificare il significato: una griglia di puntini verde-gialli occupa la parte inferiore della tela, introducendo una geometria artificiale che contrasta con l’organicità delle figure, quasi fosse un reticolo di controllo, un riferimento a codici scientifici o digitali. Sul lato destro dello sfondo si intravedono segni e tracce disegnate, figure appena abbozzate, memorie latenti che riaffiorano come fantasmi.
L’opera si offre come un enigma visivo che unisce il dramma della frammentazione all’urgenza del colore e al mistero dei simboli. È un’immagine sospesa tra visione onirica e introspezione psicologica, in cui Mangiarini esplora ancora una volta le tensioni del corpo e dell’identità, restituendo un linguaggio pittorico che non descrive, ma interroga.









